Il regista Jason Reitman è stato ospite dell’ultimo episodio del Neal Brennan’s Block podcast.

Tra i numerosi temi trattati, Reitman si è addentrato nell’argomento “Ghostbusters: Afterlife”, parlando del suo approccio alla regia e della prospettiva di suo padre Ivan Reitman in merito ai sequel.

Parlando di “Ghostbusters: Afterlife”, Reitman ha ammesso senza riserve: «Probabilmente ho realizzato il film di Ghostbusters meno divertente di tutti». Ma ha aggiunto: «Fa commuovere le persone, e quello è sempre il commento che preferisco».

Ha riflettuto sull’ispirazione alla base del film, un’immagine che aveva portato dentro di sé a lungo: una ragazzina che scopre uno zaino protonico in un fienile, notando inoltre che all’epoca delle riprese, sua figlia aveva la stessa età di Phoebe Spengler, cosa che ha alimentato la sua connessione al progetto.

CREDIT: Columbia Pictures Ghost Corps

«Ho diretto un solo film sugli Acchiappafantasmi, «GHOSTBUSTERS: AFTERLIFE”, e avevo in mente un’idea molto precisa. Un’idea che ho avuto in testa da sempre: quella di una ragazzina adolescente che trova uno zaino protonico in un fienile. E non sapevo il perché. Diciamo che un’idea su chi fosse la ragazzina ce l’avevo, più o meno, e sapevo che genere di storia sarebbe stata. Di solito era una cosa che dicevo per scherzare… Sai… “Un giorno o l’altro farò un film sugli Acchiappafantasmi”. Lo dicevo per ridere. E un giorno il mio editor se n’è uscito dicendo “Lo devi fare, quel film. Tra poco tua figlia avrà 12 anni; se non ti sbrighi, presto non gliene importerà nulla”».

Imperniando “Afterlife” sul tema della famiglia (sia sullo schermo che fuori), Reitman ha riconosciuto la natura profondamente personale del film. Ragionando su quanto significhi per lui, ha menzionato suo padre, Ivan, che è deceduto circa un anno dopo la fine della produzione, e su sua figlia che è stata sul set per tutte le riprese:

«Non avevo idea che sarebbe stata la mia ultima occasione per fare un film con papà. Abbiamo fatto il film, e un anno dopo lui è morto. Essendo padre a mia volta, è stata un’esperienza cruciale. Mia figlia aveva dodici o tredici anni, quando veniva su quel set, e l’ha adorato. Per me è stato importante fare quel film insieme a mio padre. Ma all’epoca cercavo… come dire… di fare le sue veci, di indovinare a che cosa stesse pensando, che cosa stesse provando, visto che lui aveva realizzato il capitolo originale. Cercavo di inserirmi in quella storia. E poi… Insomma… Era un film sugli Acchiappafantasmi. Per tono, struttura, design… Ritenevo che fosse una sfida interessante».

CREDIT: Columbia Pictures Ghost Corps

Quando il presentatore Neal Brennan ha detto erroneamente che Reitman ha diretto anche “Ghostbusters: Minaccia Glaciale”, Jason ha chiarito che il progetto aveva la regia di Gil Kenan. Ha spiegato che lui e Gil hanno approcci molto diversi, e che in Afterlife si era sforzato deliberatamente di replicare tecniche del 1984:

«È stato il mio compagno di scrittura, Gil Kenan, a dirigere “Minaccia Glaciale”. Quello non è il mio stile di ripresa: è lo stile di Gil. Aveva lui tutto il potere. Ma sai, il mio approccio con “Afterlife” era stato di girare usando solo la tecnologia che avevano nel 1984. Questo non significa che non avessimo usato la CGI, ma parlando delle riprese, giravamo come avrebbero girato all’epoca. Mi pare che non ci siano nemmeno riprese con il crane (la “gru”, NdT). Volevamo farlo letteralmente come l’avrebbero fatto nel 1984. Ed è questa la cosa che trovavo davvero interessante: mettermi al tavolo col mio direttore della fotografia e con lo scenografo e cercare di venirne a capo, di capire quale fosse il DNA della storia che raccontavamo».

Reitman ha inoltre affrontato il rapporto conflittuale di suo padre con i sequel, rivelando che Ivan preferiva creare storie originali. Riteneva che questa sua posizione spiegasse in parte come mai il franchise di “Ghostbusters” non si fosse ampliato consistentemente nei decenni:

«Papà non ha mai capito i sequel. Diceva “Non so perché mai la gente dovrebbe voler vedere di nuovo questa roba”. Per esempio, quando ho scritto Afterlife e gli ho raccontato di questa ragazzina che se ne va in Oklahoma e scopre uno zaino protonico, papà era entusiasta. Ma quando gli ho detto che sarebbero apparsi i Terror Dog, come nel 1984, mi ha detto: “Perché Gozer? Perché dovremmo tornare indietro? Non puoi darmi semplicemente una storia nuova?”. Credo che questo suo modo di vedere le cose sia una delle ragioni per cui il franchise di “Ghostbusters” non ha prosperato nei decenni. Dopo “Ghostbusters”, papà aveva detto “Adesso farò “I Gemelli”. Non me ne importa nulla”. Dopodiché ha fatto “Ghostbusters II”, e poi non c’è più stato nulla per anni».

CREDIT: Columbia Pictures Ghost Corps

Benché Ivan abbia diretto “Ghostbusters II” nel 1989, la sua prospettiva in merito ai sequel ha riguardato anche l’idea di inserire il particolarissimo logo del film sull’auto degli Acchiappafantasmi, cosa che Jason ha condiviso come esempio del punto di vista di suo padre:

«Ecco quanto gliene importava dei sequel. Sull’automobile degli Acchiappafantasmi in “Ghostbusters II” c’è il fantasmino del logo che fa un “2” con la mano. Questo non ha alcun senso. Anni dopo gliel’ho chiesto: “Ma perché il logo del film compare sulla Ecto-1? Cos’è? I personaggi sanno di trovarsi in un sequel?”. E papà mi ha risposto qualcosa come “Sì, mi sa che quello fu un po’ un errore”. Non gliene importava nulla. Non si curava minimamente di quelle cose che invece la gente ama tanto – per esempio – nella Marvel, dove ogni parte del franchise, che sia un porta-pranzo o un albo a fumetti, fa riferimento a una storia collettiva. Se ami la Marvel, tutto è collegato. Ecco, mio padre era all’esatto opposto. Lui diceva “Voglio solo raccontare la storia”.

Per l’intervista completa a Jason Reitman, ecco il link:


(Articolo in collaborazione con Ghostbusters News, nostro media partner ufficiale. Revisione e supervisione a cura di Edoardo Stoppacciaro.)